Spiraglio

Dallo spiraglio delle mie notti, è un suono metallico che chiama e insiste, e a nulla serve ignorarlo, che entra aria mescolata a un’eco lontana bagnata di ruote e di asfalto.

E lo dicevi che quello spiraglio era l’ultimo confine tra me e il mondo, che quel là fuori lo tengo a un passo da me, just in case, chissà che non serva una via di fuga, un giorno o l’altro. Lo sento tintinnare, tra vento leggero e lanterne silenziose che vegliano su di me e le mie visioni notturne. Lasciami dormire, lasciami sprofondare nel sogno di quegli antichi miraggi, lasciami dormire mentre la belva impaurita si insinua tra le pieghe delle lenzuola, sottopelle, silente ammaliatrice.

E insiste insiste insiste fino a che non ci sbatto contro, e inciampo e mi rialzo. La luce accesa interrompe il sogno, e guardo attraverso quello spiraglio ma non ci sei. Mi accorgo di essere sola, senza più braccia di gigante a trattenermi, cerco nella mente qualcosa a cui aggrapparmi, la vertigine mi fa tremare – è solo nella mia testa, ricorda – perdo il filo e perdo le parole e incespico nel tentativo di raccoglierle – per terra, per aria – e rigirarle e ricucirle assieme con un senso compiuto. Infilo la mano nel risvolto liso di una camicia che ha perso l’originario candore e lì vi nascondo le parole che saltellano tra la punta della lingua e il cuore.

Dimentico le mezze verità appese alla parete e abbellisco antiche bugie che si attorcigliano l’una su l’altra come fossero ballerine di un carillon muto aperto per sbaglio. Danzo con esse, le circondo con le braccia e con le labbra e con le parole masticate appiccicate agli angoli della bocca. E giro giro intorno come le ruote colorate della tua bici-pop e sì, il movimento è felicità, e sono felice, ma questo giro-girotondo mi fa cadere per terra. Dolce pacatezza che vacilla. Dolce pacatezza distillata e disciolta nell’acqua: sette gocce la sera, sette appena sveglio. Chissà come ti senti, dopo la cura, chissà dove sei, chissà se davvero ci sei, tu, là fuori: dal mio balcone, stanotte, non trovo scie luminose di lucciole fluorescenti a indicare la via d’uscita.

Perché sento freddo, adesso?

La felicità, sì, mi mette a disagio.

Richiudo la finestra e resto qui stavolta, giuro non scappo, che gli orizzonti si aprono.