pop-porno-pensiero (ego te absolvo)

Te lo dici mille e mille volte. Nella testa pare tutto chiaro, così ecco che sfoggi con noncurante spavalda sicurezza allo specchio e ti ripeti con quel ghigno da stronza saccente che basta un poco di concentrazione supplementare, tuttosottocontrollo, per non scivolare in quell’angolo torbido che si apre a voragine (Dite, laggiù, sempre ti attende). Tutto sotto controllo, dunque, socialmente accettato, politically correct e bla bla bla. L’importante è mantenere quel decoroso contegno che tutti si aspettano e che tu, generosamente concedi e dispensi tutt’intorno alla tua piccola bolla social. Bolle di sapone e olio profumato insieme. Il pavimento si fa sempre più scivoloso e tu in bilico sbuffi: ecchennnoia! camminare sempre così prudentemente, un piccolo passo alla volta, con quell’incedere così forzatamente trattenuto, e i muscoli che si irrigidiscono e si abituano a quell’innaturale lentezza. Il riflesso che rimanda quella bolla è dannatamente familiare: ha la tua bocca i tuoi occhi e il tuo naso, quel sorriso imbarazzato che a stento trattieni e che a volte senti fastidioso come una mosca che si posa sulla pelle e non se vuole più andare da te. Così talvolta riesci pure a scacciarla, ti muovi di scatto, agiti le braccia veloci, scuoti la testa e ti aggiusti i capelli. Bene così. Si va. 

Così, col naso all’insù, a rimirar nuvole minacciose e chiedersi se domani sarà un giorno buono per andare al mare, e le persone intorno che parlano, e vagano coi loro sacchetti trofeo in mano, soddisfatti e sazi post-surrogato. Così, senza meta pure tu e quel pensiero che torna, gioca a nascondino con le tue belle intenzioni e poi ti sussurra qualcosa all’orecchio, ma quel vociare disturba e magari hai sentito male, ma no, ti batte sulla spalla destra, sulla spalla sinistra, e percorre lento la curvatura della tua schiena, cinge i tuoi fianchi, si insinua appena nell’ombelico e poi e poi e poi si ferma. Ti fermi anche tu, il tuo respiro, il tuo piccolo passo distratto. Solo sorridi, in preda alla tua privatissima gioia, quel leggero delirio a colori che senti vibrare in ogni tua cellula finché cedi, grata, e quella voglia ti travolge, quella che sconvolge mente e sconquassa la carne, la voglia che vibra e che viva e avida travolge tutto quanto all’istante. 

Silente. Temi che le parole possano sminuirne la potenza e l’intensità, quasi potessero confinarla in un limite che in realtà non esiste. Come acquietare quel dolce e violento pulsare, desiderio ardente e mai pago, che si impossessa di te, tutta quanta te, solo al pensiero di abbandonarti? E manca il tempo, forse, sfuma l’occasione di dire, ma ora che la presenza s’è disciolta, e pure l’ombra di quei giorni s’è allungata fin quasi a scomparire, ecco, rimani con questo palpito che si scioglie e ti fa sentire in espansione. Fatichi a scrivere eppure non riesci a smettere, quasi fosse un prolungamento del desiderio, dello scorrere impetuoso di una voglia che si espande di continuo, non dà tregua, ti senti agonizzante e felice (senza alcun senso), colma di piacere, animale affamato che ancora cerca carne, la bocca che si schiude e rincorre il riflesso di piaceri. E lo sai, a nulla serve ricacciarli a forza in quel piccolo cahier noir, spingono sotto pelle e accarezzano la tua mente più forte di qualsiasi altro pensiero. Sono lì, su di te, a disegnar contorni sulle tue labbra e mischiarsi all’umidità della tua bocca. Ti pare quasi di sentirne il sapore, mentre tenti di articolare parole decenti. Ti chiedi se capita anche agli altri di sentirsi così, se in un momento qualunque di una giornata qualunque a queglialtri capiti mai di doversi fermare, sentendosi in preda a una sorte di improvvisa febbre, e il corpo che s’infiamma, e la mente che vacilla, e le che palpebre si socchiudono per non far sfumare quelle immagini che ti abitano. Quel dolce, amato languore, che meraviglia sentirlo, quanto ti senti fortunata ora, con quel serafico riflesso di donna un pop-porno che ti abita, sorridi e chissenefrega se gli altri se ne accorgono, loro con quella sciatteria d’animo e quel timore di perdersi, tutti intenti a catalogare: sentimento – emozioni – desiderio – senso di colpa – lussuria – perversioni – follie – moralità – afrodisiaci- fantasie – peccato. Il bene e il male. Dimmi, tu: da che parte stai?
E no, non sei affatto cattivo con me perché mi guardi come se io fossi un’attrice un pop-porno. Oh, quali e quanti sensi risvegli in me con quei lubrichi sguardi, e m’investono tutti quanti, i pensieri che ti tormentano. Suvvia, non esitare che questa è pura poesia (e svegliami alle tre, stanotte). Casomai un giorno scoprissimo che è peccato, ecco: ti do la mia assoluzione. C’è bisogno che qualcuno ce la impartisca. Sempre. Qualunque cosa si faccia.