Manipolazione

manipolazionI (this is not a love song)

La verità è che nessuno vuole la realtà.
(Survivor, C. Palahaniuk)

Prologo. 

Dove vorresti essere, ora? Rispondi senza pensare.
E lei lo fa, risponde senza pensare.
Non in questa casa, non in questa cucina, non in questa vita. Lì, con te. 

Cosa significasse, lei non poteva sapere. Inebriata com’era dalle esalazioni di quel profumo tossico che le corrompeva  sensi, volontà, la vita stessa.
Cosa significasse davvero, lei non poteva sapere. Si lasciava condurre docilmente dalla melodia delle sue parole, viaggiando verso Milano con una borsa nera. Piccola, pesantissima. Piena di pezzi sbagliati. Presi a caso da una casa molto carina, senza soffitto e senza cucina, dove non si poteva entrare dentro perché non c’era il pavimento. Ma era bella – lui diceva – bella davvero, e lei s’appiccicava quei versi indecenti sugli occhi e a tentoni seguiva il canto delle sirene, pieno di note false. Che il profeta dello Zohar – ora lo sai – ti avvolge tra le sue spire e tu giri e giri e giri senza tregua in cerca dello Splendore, maledetto. E così vagava, vagava per la città di notte in cerca di casa, facendo bene attenzione che nessuno la potesse notare. Come un’ombra corta che afferri solo con la coda dell’occhio. Ti volti per cercarla, ma subito ti sfugge. 

L’anagramma dello Splendore

Mi prende e mi circonda, quasi fosse un caldo abbraccio in cui rifugiarsi.
E m’illudo per un momento che in fondo è bello, quell’abbraccio, confortevole e rassicurante. Non faccio resistenza, neppure quando si fa più stretto e forte.
Di nuovo quella sensazione, le gambe che si fanno pesanti, sempre più pesanti, e mi sento trascinare verso il basso. Ancora non tocco terra. E’ terrificante e soffice insieme. Continuo lentamente a precipitare. 
Bella, che t’importa del mondo? 
Una litania muta che si ripete ossessiva e mi culla. All’orizzonte dell’Eden sei stata punita e il profeta strappa la tua lingua e la carne e i nervi e i muscoli. Ti mastica ridendo forte e tutta quanta t’ingoia. T’ingloba. Come da copione, ti amo, ti amo da morire, mi prenderò cura di te. 
Manca l’aria e fuori è brutto, e tutto è così distaccato, con te. E davvero sembra il resto e non noi ad essere altrove, beffarda realtà parallela ma centrata alla nostra, dove la gente parla, si muove, si agita, si calma, va veloce, va piano, si supera, si spegne. Senza alcuna importanza. Ci sei solo tu – dice – il resto è chiasso. 
Una voce fuori campo la fa smarrire. Ascolta la storia dell’inaccettabile e s’agita e oscilla il suo corpo in modo drammatico, una danza disperata e docile. Si trascina per le vie buie della città senza mai alzare lo sguardo, intenta com’è a fissare le punta delle dita. E quel capello attorcigliato che le tiene insieme. Legate strette. Prima una poi l’altra. E poi il braccio e le spalle e la vita e i fianchi e le ginocchia e le caviglie. Totalmente in balia di quella trama fitta che la stra(v)volge. L’unica cosa che può fare è recitare a memoria una parte scritta da altri, per lei. Che lo sai, lo sai che sei la protagonista del romanzo che cambierà il mondo. Il suo. Ma solo per un po’Non lo senti? Profumi di rose e finzioni di Borges, bella regina nauseabonda.  

La città comincia a muoversi. Sembra la scena di un film che va veloce. scorre via. Via, via, finchè non riconosci più niente e nessuno. non sai come farlo smettere. Come tornare. In te. E’ una sensazione fisica, come se il corpo fosse teso, allungato, stirato a tal punto da collassare. E’ strappato, manca sempre un pezzo. Sei fuori controllo. E certo che si può vivere con un rene solo, o un pezzo di fegato, o senza una mano: mi sveglio, prendo il caffè la mattina, faccio delle commissioni, leggo, lavoro, mangio. Danzo tra le tue braccia. Eppure a volte è così faticoso. Eppure a volte è così chiara la percezione di incompletezza. 
Sono a pezzi. Quelli sbagliati.
(potresti ricucirli, ma non lo farai)

This is not a love song.

nessuno comprende. nessuno mi riporta a casa.
Mi chiedo se questa corsa non sia un’altra messa in scena che copre una messa in scena che copre un’altra messa in scena che copre un problema. Non riesco a ricordare. 

e questo tram ancora non si ferma, voglio scendere ma tu hai nascosto il pulsante rosso della chiamata nella tasca interna della tua giacca. E proseguiamo. E sono stanca, e tu gridi, mi scuoti, mi ritraggo, e tu scuoti più forte e io ho paura. Non c’è via d’uscita e resto immobile, tremo, non so che fare.
Sembra tutto troppo fuori dalla mia portata. mi mancano gli strumenti, non ho i mezzi – penso. E tu mi guardi. Siamo uno di fronte all’altra – ti avvicini, mi prendi per mano e riempi l’aria con un’orchestra che suona sempre la stessa canzone. Lo senti come tremo? Dove stiamo andando? Dove vuoi portarmi? Tremo e distolgo lo sguardo. Gira meno la testa così, se fissi un punto, e uno soltanto. Io guardo a terra, guardo i piedi vicini che lentamente cominciano a muoversi nella stessa direzione. E stringo quella mano, anche quando vorrei scappare, perchè non smetti di guardarmi, di farti guardare, di farmi male. 

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artwork: Alan Maglio, Manipolazione (2019)

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