Lunedì metropolitano.

Volevo andare ad Alghero in compagnia di uno straniero (e le corse sfrenate su moto cromate, di sera l’estate). Invece scendo a Porta Genova e mi accorgo che è già autunno. 

(in foto Polignano a Mare. che fa un po’ Milano in metro, la mattina)

Lunedì mattina. Ti svegli alla solita ora di sempre. Sempre qualche minuto prima che il telefono inizi a vibrare assieme a quella nenia fastidiosa che odi ma che non ti decidi mai a cambiare. Che rimandi sempre, anziché spegnere. Più o meno sempre la stessa ora e, come sempre, vai in bagno, le solite cose, e la musica-di-gran-classe e Giuni Russo e il caffè e corri che è tardi. Per l’ennesima volta. Come tutti i giorni prendi cose più a meno a caso dall’armadio e ti ripeti che però dai, la prossima volta le stirerai prima quelle cose che la mattina non sai mai che mettere e poi magari si esce pure, dopo lavoro. Il detox, si sa. Per cominciare, bere. 

Zara. Centrale. Cadorna. Sant’Ambrogio. Porta Genova. Ed ecco che succede di nuovo. Di nuovo ti vedi riflessa nel vetro della porta della metro. Un riflesso freddo e azzurrognolo che la luce a neon della carrozza così generosamente regala. A tutti, eh. Ogni mattina. Quando esci di casa, in ascensore ti senti pure un poco fica. Voglio dire, così lavata e stirata e truccata e pettinata. E niente, quando ti fai il viaggio in metro la mattina, tutto il tuo bel gran daffare non serve più a niente. Tutto vano, vanesia che non sei altro. Pure tu con lo sguardo vitreo, il colorito spento e le occhiaie segnate dall’ombra impietosa. Stasera niente alcol e a letto presto, intesi? 

Tutti quei puntini colorati e ingombranti che oscillano e vannovanno e vengonovengono. Ogni mattina, in metro, si ripete l’epopea infinita dei viaggi senza speranza, con le persone ammassate che leggono cercando un appiglio o spulciano foto nel feed Instagram. Ogni tanto qualcuno sbircia pure il mio, di feed. Tuttotetteeculi. Tutti artistici, s’intende. Chissà che pensano. Le languide occhiate che non sanno se andare via veloci o restare – dai, solo un poco.  Po’ porco. Che mi piace ma forse non sta bene dirlo. Infatti tutti restiamo in silenzio. Quasi. Ogni mattina, in metro, lo trovi ad aspettarti – vestito bene, Micheal Kors – (per le pari opportunità: uomo o donna, indifferentemente) col telefono che suona sempre e sempre sta a contrattare, spettegolare, recriminare, ridere e sbuffare. Ogni mattina sei partecipe – tuo malgrado – di tutta la giornata schedulata live di qualcuno che strilla e vuol condividere senza riserve con te e ogni singolo occupante della carrozza le sue peripezie casalinghe. Fenomenologiche. Filosofiche. Cosmetologiche. Marchettologiche. Mai, mai una volta che in metro quelli lì ci facciano il porno, per dire. Per telefono, intendo. Penso che forse mi piacerebbe iniziare così la giornata. A star is Porn. Porn Romantic. Porn Food. Porno subito. Invece no. Invece scendi e cambi e corri. Corri incontro a quella fiumana di dead man walking che vanno a due velocità. Veloceveloce. Lentolento. E tu in mezzo, che cerchi di schivare, aggirare, maledire te stessa, prima di tutto, che te ne esci puntualmente in ritardo e poi smadonni tra la folla che si muove a caso appena fuori dalla metro di porta Genova. Acceleri acceleri acceleri e di nuovo li trovi ad attenderti. Loro, in agguato. Tu, in trappola.
A testa bassa. Deambulano. E lo sai che appena avanzi e fai per superarli – imprechi – lo sai che stanno scrivendo un messaggio, ascoltando una canzoncina carina su Spotify pensando all’ultimo match Tinder carino in quel posto carino in cui bevevi il tuo drinkino carino e lei rideva e tu ti sentivi un fico. Quasi. Carino, diciamo. Lo vedo che stai ridendo da solo. Lo sai – vero? – che non la vedrai mai più?
Da che pulpito. La voce fuori campo ti bacchetta. Tu pure stai camminando a testa bassa, veloceveloce sul marciapiedi scosceso. Lo fai da quando vivi qui, lo fai per evitare di inciampare su una cacca di cane. (mo)lesta, mica santa. 

Zara. Centrale. Cadorna. Sant’Ambrogio. Porta Genova. Li guardi a uno a uno, quei compagni di viaggio estemporanei. Ogni mattina. Seduti, penzolanti, eretti, eleganti, sdraiati, deambulanti, furiosi, curiosi, luccicanti, maculati. Con quello sguardo vitreo che incroci per cercare di scorgere segnali di vita. Che gli passa per la mente? Che fanno nella vita? Chi sono? Esistono veramente?

La risposta no, non è dentro di te. É sbagliata, quella. Come questo lunedì mattina, a Milano.