Chiedi alla polvere

Cinque ore nel non-luogo, lunghe. Mal di testa che batte e ribatte tra nuca e tempie per poi rimbalzare ossessivo nel bulbo oculare. Stronzissimo mal di testa. E le cinque ore che finiscono alle due e vai a casa, MA, per la congiunzione astrale lo sfavorevole allineamento – oggi proprio oggi – dei pianeti, e ora c’è da liberare quel casino del tuo garage, che vengono a portare via cose e lasciarne altre, quegli omini.
Eccomi. Come un supereroe sgarruffato estraggo la bustina dell’okitask, che lo so che fa male allo stomaco ma la mia testa dice: non credere a tutto quello che ti dicono, fallo e basta. Così butto tutto sotto lingua (che sia più efficace?) e guardo l’ora per verificare che sia davvero effetto rapido. Gli omini furgonati sono più veloci del mio ketoprofene a rapido assorbimento e io scivolo verso lo Stige, là sotto. Un momento di sconforto. Comprendere in un nanosecondo il motivo per cui quella basculante rimane sempre chiusa, e domandarsi perché, perché, perché? davanti a scatole enormi di cui ignoro il contenuto e che giacciono qui, silenti e pesanti, dall’ultimo trasloco del 2008.
Le risposte giungono e hanno forme alquanto discutibili e sconcertanti di certe paia di scarpe nascoste come scheletri in un armadio da ristrutturare e privo di anta. Sono spietati quegli scheletri che ghignano, i movimenti si fanno sempre più svelti e scaltri: via via tutto, che non rimanga traccia di quel torbido passato fuori-moda (peccato che i sacchi per la racconta differenziata “secco” siano impietosamente trasparenti)

Con insospettabile abilità funambolica riesco ad arrampicarmi sulla scaffalatura più alta, che quello scatolone chiama. Enorme e pesante e pieno di libri. Alleluja. Compenso l’umiliante riesumazione di scarpe &co. Non subito, che ripesco una Kinsella d’annata e un meno precisato bacidamalibù che solo il titolo mi fa ancore irrigidire tutta. La copertina è ancor peggio. Lo so, il passato non va rinnegato, è parte di noi e blabla, però nessuno passa di qui, nessuno mi vede, queste cose non sono mai esistite! ripeto alla parte più dignitosa di me. I manuali di storia dell’arte e tutti quei raccoglitori traboccanti di testi per la tesi, tutti rigorosamente fotocopiati.
E jimenez, Eco, Lawrence, Nietzsche, D’Annunzio, Hesse, Leopardi. A sorpresa riappare il Séguéla tanto amato e poi inspiegabilmente smarrito. Da troppi anni. Respiro polvere infernale e sorrido beatamente ritrovando tutto quel sbarluccicoso turbamento in un lungo personale amarcord. Mi pare persino di percepire della musica, da qualche remoto angolo del garage. E’ nella mia testa, colonna sonora originale. Però quello no, è lì, sotto il mio naso, con due dita di polvere addosso, bello e giallo. Il Penny, originale. Gaudium Magnum! La testa non smette di rimbalzare e questo stato di entusiasmo sovreccitato certo non giova, ma son felice. Che per noi, ragazzi-di-oggi-noi, che gli anni ottanta li abbiamo vissuti per davvero, il mangiadischi era tra i fondamentali. Da lì si riparte. Chissà se funziona ancora. Ricordarsi di comprare batterie. OKi. Ci vuole un altro Oki, per festeggiare. Meglio due.
Risalgo ai piani, carica di libri da riposizionare e col mio mangiadischi in mano, stretto stretto quasi fosse una delle Kelly di Hermes. Fanno un poco ridere queste unghie laccate rosse su delle mani così insozzate. Anche la maglietta. Bianca Nera, da meccanico.
Le mani le lavo con cura, prima ancora di sfilare le scarpe. Mi siedo per terra, e prendo Séguéla. Apro, a caso. Pagina 80:

“Il nostro lavoro è un po’ Lourdes.
Ogni sera ci addormentiamo su una piccola catastrofe, ogni mattina ci si risveglia su un nuovo miracolo. Il Marocco ci aveva appena ripudiati, Yves Rocher ci sposò. Yves Rocher è il simbolo del plebeo nobilitato dalla pubblicità. Aveva vent’anni quando sua nonna gli confidò il segreto di un antiemorroidale a base di piante bretoni. Yves mise un annuncio sul quotidiano locale, e scoprì di colpo la magia della réclame.”

La réclame, ecco.
Irritata come sono sempre da quel verde grembiulone informe che magicamente mi fa passare da una trentotto a una quarantotto come se nulla fosse, ho trascurato i fondamentali. Non va fatto mai, per nessun motivo, nemmeno se attenta quotidianamente alla tua autostima (pare che Yves Rocher fosse uno dei miliardari peggio vestiti, comunque) Séguéla parla della logica implacabile di Yves Rocher, pubblicitariamente parlando. Che da quello deriva poi il suo successo planetario. Che il pubblico ha una fame feroce di individualità: ciò che ama nei suoi autori, nei suoi cantanti, nei suoi attori preferiti è la loro personalità. E perché non dovrebbe essere così anche nelle cose che compra?
Sono qui, in questo non-luogo, da circa un paio d’anni, circondata dai magici unguenti dello zio Ivo, che in tempi non sospetti ha coltivato questa bellezza per poi raccogliere felicità in tutto il mondo. Non ci avevo fatto caso. Yves Rocher e Séguéla. Le cose sono da rimettere al posto giusto.

Quando decido di alzarmi da terra tutta anchilosata avverto un senso di leggera euforia, un capogiro languido che mi sorprende e lusinga. L’amore, ah, l’amore! Cupido fa dei giri strani, a volte. Il mio s’è perso in giro a svolazzare di fiore in fiore, s’è bevuto birra e vino insieme, ha fatto casino con i dardi (da) infatuati. Però ch’ha visto giusto. S’è perso e poi è tornato – via garage – alla pagina ottanta di questo libro. 

E’ lui che me la canticchia, la domanda giusta: cosa farai da grande? 

Ecco, chiedi alla polvere, rispondo io.

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