Ti do la mia parola – Eleonora sabet e gli autoritratti scritti a mano.

In un momento come questo, (s)travolti come siamo dall’emergenza Covid-19, più o meno tutti cerchiamo istintivamente un appiglio, un diversivo, una distrazione. Non possiamo guardare altrove. Fare finta di nulla. In un momento così assurdo e surreale, possiamo provare a distrarci per un po’, però ecco, torniamo necessariamente allo stesso punto. Dannatamente semplice e spietato. Quello che siamo. Presi come siamo solitamente dalla quotidianità, dagli affetti, dai valori, da tutte le cose di cui è fatta la nostra vita. Anche le più frivole. Le nostre. Che non sono sparite, sono solo sospese. Rimandate. A data da destinarsi. Ci ostiniamo a trovare una distrazione per non pensare a quanto sia innaturale questa cattività formale. Siamo costretti a fermarci, senza più vagare altrove. Lontano dal centro. Che siamo noi. Ed è quello che possiamo fare, guardare. 

Non ho più scuse.La leggo su una fotografia, questa frase. Scritta a mano, su un ritratto in bianco e nero.Tanto semplice quanto diretto, immediato. Onesto. Mi fa riflettere. Mi incuriosisce. Fa parte di “Quarantine Project”, l’ultimo progetto artistico di Eleonora Sabet,  fotografa freelance di Milano che attualmente vive ad Amman, in Giordania. 

“Qui ad Amman siamo alla terza settimana di lockdown – ci racconta – e, da quando tutto è iniziato, ho preso la decisione di scattare un autoritratto al giorno. Il progetto si è evoluto diventando collettivo, invitando a partecipare chiunque ne voglia far parte. Circa una settimana fa ho fatto una call su Instagram chiedendo un autoritratto scattato durante la quarantena e un pensiero scritto a mano su come ti senti in questo periodo. In tre giorni sono arrivate 100 email, attualmente sono state superate le 200 e la call è ancora aperta a chiunque. Dato che siamo tutti in quarantena, ho scelto di non fare una selezione delle fotografie, edito tutto il materiale che ricevo ed entra a far parte del mio progetto.

All’improvviso ci ritroviamo protagonisti di progetti artistici che ci riguardano tutti. Che, in qualche modo, danno una forma bella a una cosa che chiamiamo “quarantena” e che viene da un virus stronzissimo che ci ha fottuto, sì, ma solo per un po’

“Sì, ti fermi e poi tremi. Dietro alle persone chiuse c’è ancora il sole e qualcuno suona un pezzo dei Pink Floyd. Ti fermi. E tremi” (leggo su un’altra foto ancora). Fragili e impauriti e stralunati e incazzati e pure agguerriti. È questo che siamo, è questo che scopriamo, quando ci guardiamo. Quando lo facciamo davvero. 

Con il suo progetto, Eleonora Sabet ci invita a catturare quello che siamo. Nel qui e ora. Diretti, anche quando ci sentiamo divelti. Ognuno col suo personalissimo status temporaneo. Un modo per possedere il presente – stronzo e surreale che sia – farlo proprio. Un singolo momento. Unico. E un pensiero, un’emozione che ci appartiene, cucita addosso a quell’immagine. E le persone lo fanno. Hanno accolto l’invito, partecipano. Da subito. Una piccola parola. Con una forza e un entusiasmo che forse nemmeno l’artista si aspettava. Che ancora continua, si espande e diventa un diario collettivo semplice e potente. L’urgenza di guardarsi. Di dirsi. Di ricordarsi. Con una frase. Una piccola parola. Ché il flusso delle nostre identità non si interrompa. Ma diventi altro, in questo spazio personale che – così – ci appare un po’ meno ristretto. 

Ci vedremo con altri occhi, domani? 

“Quarantine Project” è l’evoluzione di una serie di autoritratti a cui ho iniziato a lavorare dall’inizio della mia quarantena – dice Eleonora Sabet. L’autoritratto è la tecnica fotografica che mi ha sempre permesso di raccontarmi nella maniera più sincera, ed è stato il mio primo approccio alla fotografia. 

Osservando le fotografie realizzate, mi resi conto della mancanza di qualcosa: il progetto non aveva nulla di nuovo rispetto agli autoritratti che scattavo prima dell’arrivo del Covid-19. D’istinto mandai un messaggio ai membri della mia famiglia (che attualmente si trovano in Italia, io ad Amman, in Giordania) chiedendo di inviarmi un autoritratto e un pensiero scritto a mano su come si sentissero. Non avevo idea di cosa potessero scrivere ma rimasi piacevolmente sorpresa. Dopo averle editate, mi resi conto di quanto l’unione fra calligrafia, pensiero personale (che poi, nei testi ricevuti si è spesso trasformato in sfogo emotivo) e volto della persona potessero essere d’impatto.

Sempre la stessa giornata, decisi di proporlo su Instagram, invitando a partecipare chiunque ne volesse far parte. Pensai che potesse essere interessante sapere come si sentissero persone a me sconosciute, ma soprattutto poterlo condividere online per poterci ascoltare tutti insieme. Ad oggi, a distanza di una settimana dalla pubblicazione della call, le email sono più di 280 ed il progetto è ancora aperto. 

Ogni giorno, chi decide di partecipare, contribuisce alla creazione di una narrazione emotiva fra sconosciuti che stanno vivendo una situazione simile.

Questo progetto fotografico è diventato un lungo diario collettivo che parla di paura, solitudine ma soprattutto speranza per un futuro migliore.

Io, quando apro per la prima volta l’email di qualcuno, mi emoziono leggendo i pensieri che sono stati condivisi con me. In qualche modo mi fa sentire meno sola di fronte ad una situazione a cui, purtroppo, siamo tutti impotenti.

Spero che chiunque abbia la possibilità di vedere questo progetto possa provare la stessa sensazione.

“Quarantine Project”, Eleonora Sabet https://www.instagram.com/elesabet


Persone nelle fotografie allegate:

Eleonora Sabet (Amman)
Donatella Tallone -mia nonna- (Genova)
Marco Sabet -mio padre- (Milano)
Massimo Sabet -mio zio- (Milano)
Antonio Mangiacapre (Napoli)
Kimberly dela Cruz (Manila)
Sara Galletta (Chieti)
Alexis Lefevre (Ankara)
Anastasia Yuzvinska (Rimini)
Geremia Mangione (Milano)
Ilaria Milani (Milano)
Alice Ursini (Penne)
Abad Lahham (Amman)
Camilla Paris (Milano)
Valentina Invernizzi (Pavia)
Martina Parolo (Pavia)
Denise Basta (Prato)
Francesca Casalino (Padova)
Marta Renda (Aosta)
Silvana (Roma)
Riccardo Segre (Milano)
Susan E. Kavanagh (Londra)
Gloria Gorni (Brugherio)
Giuseppe Tortora (Milano)
Hillary Noleppi (Brescia)
Ksenija Taddei (Velletri)
Vittoria Rigutto (Milano)
Marika Alfieri (Trieste)

Il mio pezzo per CASA DI RINGHIERA