The less I know the better: una surreale visione (tra pon pon, King Kong e pop art)

Originariamente pubblicato su CASA DI RINGHIERA, sorgente: The less I know the better: una surreale visione (tra pon pon, King Kong e pop art)

 

Un classico. Giovani studenti e i loro sguardi che s’incrociano in silenzio. Il pallone da basket che rimbalza e riecheggia nella palestra e lungo i corridoi insolitamente deserti di un liceo qualsiasi. Sospiri. La musica che ancora non parte. Vai dentro, dunque, oltre quel silenzioso affanno. La camera che s’infila nell’angusto armadietto, passa rapida tra pochi essenziali oggetti in penombra, sfiora prima un libro, poi sneakers, canotta appesa a lato, e poi vai al centro della scena, ecco, la banana gialla, tra un gorilla in miniatura adagiato e un trofeo di basket.

Vai oltre, dunque, vai dentro quello sfacciato richiamo voyeur. La luce filtra dalla fessura, lo sguardo si fa curioso, denso e affannoso, e scivola complice su quella scena e tra le cosce spalancate della provocante innocente fanciulla. Vai a quel sospiro, nel bel mezzo di un tormento carnale.

Cambio di scena: la musica fa sollevare il capo e dilatare quelle palpebre a fessura tremolanti. Le immagini esplodono, ammiccano e solleticano.

E via, via, togliete dalla faccia quel sorrisetto da liceale con l’ormone in subbuglio, vi prego. Non è come sembra, posso spiegare.

Ecco, ammetto di esserci cascata pure io, la prima volta, ma questo video, benché sia poco raccomandabile la visione spensierata alla postazione in ufficio, a dispetto degli ammiccamenti espliciti e dello stesso titolo (meno so, meglio è) è un prodotto artistico di straordinaria bellezza, flusso continuo ricco di suggestioni e citazioni interessanti.

Un racconto colorato, sexy, un triangolo amoroso bizzarro e surreale tra un giocatore di basket, la biondina cheerleader e la mascotte del liceo, Trevor, un gorilla (letteralmente). The less I Know the better, il video tratto dall’ultimo album dei Tame Impala, Current, e realizzato dal collettivo spagnolo “Canada”, riprende il testo di Kevin Parker arricchendolo e sviluppando una micro storia sfacciata, surreale e colorata in cui si fondono in modo sorprendente sonorità e narrazione visiva. Sono evidenti, infatti, i riferimenti alla cultura e all’arte psichedelica, straordinario fenomeno musicale e artistico nato a metà degli anni ’60 nella West Coast californiana, a cui la band si ispira in modo creativo e fluido, senza troppi echi nostalgici. Ispirazione ripresa dai Canada, efficace e particolarmente fertile, una spinta propulsiva gioiosa e creativa che esplode e riempie ogni fotogramma della scena.

Felice e forte il richiamo al famoso “Electrical Banana”, fantasmatico libro/catalogo che ripercorre la storia della cultura psichedelica, variopinta summa della potente visione artistica più prolifica e longeva.

Torna alla palestra. Spogliatoio. Armadietto. Corridoio. Bagno. Studio. Auditorium. La narrazione visiva è rapida, incalzante, l’ambientazione della scena cambia di continuo, volutamente disturba, diverte e disorienta chi guarda e assiste. La mano del gorilla che squarcia il soffitto e riempie la stanza, gigante come quella di King Kong, accoglie la biondina che, sorridente e per nulla intimidita, prontamente si fa felice complice di quell’assurdo rapimento d’eco vagamente hollywoodiana. Vai a lui che guarda, di nuovo. Lei che danza ammiccante intorno al dito medio di Trevor, eccessivo e spropositato, e nel bel mezzo di una bizzarra esplosione di mille banane animate. Ballano insieme come due selvaggi e ridono divertiti. Simulano amplessi sguaiati tra banane e palle da basket rosa shocking.

So mellow yellow…
Electrical banana
Is gonna be a sudden craze.

E compare fin dall’inizio, quel frutto tropicale così giallo e dolce che divenne musa ispiratrice di Warhol per l’illustrazione della copertina del celebre album dei Velvet Underground.

Banana, banana! Banane ovunque. Disegnate, gialle, colorate, che fluttuano nell’aria e danzano (degna celebrazione di questo 2016, anno della scimmia!)

Torna alla biondina. E’ lì che si agita al centro della scena e del colorato flusso psichedelico, stretta da enormi dita di gorilla e sorride e danza e celebra la sua personale ode al maschio-alfa scuotendo improbabili pon-pon di caschi di banane e fili d’oro, e lui, l’ex-fidanzatino affranto, resta a guardare, in affanno, mentre un nastro salvifico si avvolge intorno al suo corpo e gradualmente lo priva della vista.

A velocità alternate, sfilano scene come flashback nella mente confusa e alterata di un innamorato ossessionato dall’oggetto del suo desiderio(interruptus).

Ed eccolo, implacabile masochista con lo sguardo fisso, unico spettatore in un auditorium deserto, mordere nervosamente l’ennesima immancabile banana mentre va in scena un nuovo episodio dell’assurda love story.

I was doing fine without ya, ’til I saw your face,  now I can’t erase
Eating in to all his bullshit

Resta sullo sfortunato giovane travolto da nausea per l’eccessiva esposizione alla sfacciata relazione tra l’ex e il gorilla. Inequivocabile folle corsa verso una scena poco edificante.

Ah, geniale, spettacolare bellezza: quel rigurgito di gelosia e ossessione forma una densa vernice colorata. Cola, densa colorata e morbida. Cola, copiosa. Rossa, rosa, gialla, nera, azzurra. Precipita nel vuoto percorrendo e definendo nel nulla le curve sinuose di un corpo femminile. Immobile, rovesciato all’indietro, offerta plastica e provocatoria che cita esplicitamente l’opera di Allen Jones, altro grande esponente della pop art britannica in cui la donna diventa letteralmente un oggetto feticcio da arredo.

Via, via dunque, godetevi questo viaggio surreale e divertente, accantonando quel sorrisetto da iper-allusione-fallica e superando persino la logica della narrazione.

Sorprendente, vivace e intensa allucinazione. Interazione di colori, combinazioni che si creano via via durante il video e le sovrapposizioni esagerate di forme colori e allusioni che riprendono le illustrazioni psichedeliche del giapponese Keiichi Tanaami, producono sensazioni fluide di movimento e vibrazioni ottiche che seguono il ritmo avvolgente della musica. Flusso visivo continuo nonostante i repentini sbalzi di sequenza temporale e logica. Paradossalmente coerente persino quando la narrazione ricorre alle illustrazioni e all’animazione nel video. Agita e mescola insieme erotismo soft, arte visiva, simbologia fallica, cinema, basket: un singolare approccio estetico che alleggerisce il tono e permette un’ulteriore evoluzione della narrazione, spingendo ancor più lo stile visionario del video, ricco di riferimenti chiari e riconoscibili.

Said “Come on Superman, say your stupid line!”

Vai al fidanzatino. A quel familiare fulmine colorato che gli attraversa la canotta sul petto, e sì, questa volta lui può essere davvero un eroe, anche solo per un giorno. Corridoio deserto. Il selvaggio rivale che in rincorsa scivola a terra e si batte fieramente il petto. Epilogo finale. Tutto ha un senso perfetto. Perfettamente studiato ad arte. Leggero, veloce, sexy, divertente, vagamente delirante (tanto da rimaner quasi delusi, ai titoli di coda)

TAME IMPALA

THE LESS I KNOW THE BETTER

 Play it again.

 

Originariamente pubblicato su CASA DI RINGHIERA, sorgente: The less I know the better: una surreale visione (tra pon pon, King Kong e pop art)