Sala d’attesa.

I piedi non toccano il pavimento, oscillano appena. Io mi sporgo per vedere, senza guardare. Punto le mani sul bordo della poltroncina come per alzarmi, gli occhi per aria, assorti, poi di nuovo i miei piedi che oscillano. Mi fermo a guardarli, anche se avverto dei passi tutto intorno. Passi veloci. Passi incerti. Passi distratti. Passi sconosciuti, ovunque.

Le punte delle mie scarpe che dondolano sembrano sfiorarli, pura illusione.
Corrono di continuo quei passi, corrono corrono corrono, corrono altrove, lontano da me. Che resto qui, seduta su questa poltroncina, a guardare scarpe, e scie di rotelle di trolley zeppi di cose, e bambini trascinati come cagnolini, e cagnolini vestiti come bambini. Io resto qui, seduta, senza più nessuno accanto. Resto qui perché non so cos’altro fare. Frugo tra le pieghe delle tasche dei miei vestiti e della mia borsa, ma non trovo nulla di quel che cerco. Eppure dev’essere da qualche parte, quel biglietto di sola-andata.

Frugo ancora. E ancora mi fermo qui, su questa poltroncina, a dondolare nel vuoto i miei piedi. E altri piedi si muovono, sempre più frenetici, di-corsa, è tardi, di-corsa, andiamo. Ultima chiamata, il volo è pronto per il decollo. Mioddio, è tardi. Ma io ho smarrito il mio biglietto, resto qui.

Era così tanta la voglia di partire che sono corsa fuori, pronta, sì, sono pronta, quanto manca? Non ho neppure un orologio. Era così tanta la voglia di partire che ho preso posto qui, e mi sono messa in attesa. Era così tanta la voglia di partire che ho dimenticato la destinazione.
Il rumore dei miei tacchi, d’improvviso, si perde tra la gente.