Parole e secchi d’acqua (a giocare col fuoco)

Melvin Sokolsky

 

Colleziono parole scritte, parole per ogni occasione. Capita di centellinarle per prolungarne l’effetto balsamico, capita di divorarle in preda a bulimia di emozioni e sensazioni a me fin troppo famigliari. Mi rifletto nelle parole d’altri, mi riconosco, è tutto a posto. A volte seguono i contorni del mio profilo, si sovrappongono, a poco a poco corrodono la patina argentata. Manca l’aria e le respiro, ora che succede? Vertigini. – Tuttobuio/Panico/vertigini/Poipassa – Sorrido. Sì, mi sento quasi sollevata comprendendo da fuori qualcosa che si agita dentro di me e resta a lungo compresso.

Si fanno scintille, le parole, e poi piccoli fuochi.

A volte, senza preavviso, divampa. Sentire quella fiamma viva, nelle parole di altri, ritrovare certe dinamiche emotive e comportamentali che mi appartengono. Sentirmi meno sola, in un certo senso. Riscoprire quella complessità come una ricchezza, e non come un peso, una malattia da debellare. Boh. Non lo so se sono speciale. Probabilmente ognuno di noi ha dentro questo fuoco. A volte ci si lascia attraversare, si impara a distinguerne la forza, a separare quella distruttiva da quella costruttiva, si impara a dosare luce e calore. A volte, invece non si comprende, o ci si spaventa. Che A giocare col fuoco ci si brucia.  Ritornello ripetuto fino alla nausea, spalmato su discorsi e fette di pane morbido a colazione. Vivamente consigliato mantenere sempre e comunque la giusta distanza di sicurezza (giusta rispetto a cosa, poi?). Perché si impara che è male, e ci si ritrova a camminare stancamente con secchi d’acqua in mano e garze ignifughe sulla pelle. Perché dobbiamo crescere in questo modo, per diventare uomini vita- repellenti? Si impara a credere che quella così lì è la vita, mentre si spengono fuochi che avrebbero alimentato e supportato una vita vera.

Rovescio le mie tasche, e sistemo sul davanzale i fiammiferi umidi. Coi secchi ci annaffio le piante.