Me lo ricordo, era settembre. Sì, settembre come quella canzone di Cristina Donà, e anche tu me lo dicevi che era tempo di imparare a guardare la bellezza e la verità ripulire il pensiero e dominare il fuoco e rinunciare al veleno e ascoltare. Ho guardato e ascoltato e ripulito il pensiero. Senza più quella paura di attraversare il dolore, pur nella bellezza stessa (che è dalla bellezza che scaturisce, talvolta) La Bellezza, sì. E verità, soprattutto. La verità è che per anni ho coltivato e combattuto quella idea di anima gemella. Quella assoluta, totale. Quella fatale, che solo vive per il naturale compimento. Quella che si fonde e illumina e riflette e squarcia e sprofonda senza paura nelle zone più offuscate, quelle remote dell’anima. Quella sempre e comunque dà vita. Non ci siamo incastrati, lo so, e questa è un’altra storia. La verità è che ancora ci credo. Con tutta me stessa. Ancora, nonostante tutto. No, sul serio: certe convinzioni assolute che fai crescere in grembo poi te le porti ovunque, travaglio senza parto, e alla fine prendono strane forme. Sono in te, ci restano perché sono radicate laggiù in fondo, aggrappate come zecche nel profondo più nero del nero. Edith Templeton la definiva la scodella d’acqua*.