Sessantuno e il signor Acido (fra la gente, tanta gente)

La scena si apre con una bambolina leggera – la chiameremo numero Sessantuno – che passeggia lungo corso Garibaldi. Con quell’aria vagamente persa e gli occhi che brillano, numero Sessantuno cammina avanti e indietro cercando di concentrarsi su qualcosa, una qualsiasi, che non siano le lancette di un orologio che peraltro, oggi ha dimenticato a casa. C’è il sole e c’è il vento, e sente le guance che iniziano a pizzicare. Numero sessantuno tiene il telefono nella tasca della giacca, che c’è traffico e la gente in macchina crea incessanti e nevrotiche rapsodie con quei dannati clacson e chissà se così riuscirà mai a sentirla la suoneria, sia mai. Vibra la tasca, vibra il palmo della mano, vibra la vena che porta sangue al cervello: è il signor Acido.

Tutto si compie, laddove nulla si fa per impedirlo.

Vai qualche giorno fa, con i due che sfogliano il catalogo “profumi&balocchi” senza troppo entusiasmo, tra partite di calcio poco entusiasmanti e discussioni politiche chiassose e ridondanti.
Questo sì, quello no. Sì no no no no, chissà. Acido e Sessantuno si parlano. Sessantuno che la sera abbassa il volume del televisore per non sentire, e si gira continuamente verso lo schermo muto per guardare. Non ascolta e guarda le immagini che si muovono veloci. Così apre una pagina in rete, e poi un’altra per distrarsi, ma vede la prima che lampeggia e ammicca e si ferma a fissarla. Non legge e guarda immagini e parole che sfarfallano come luci a neon. Guarda con quella svogliata noncuranza di chi passeggia annoiato e guarda vetrine di negozi di cui non ricorda il nome. Guarda annoiata altri, che annoiati vedono lei, annoiata, che guarda loro mentre guardano lei in un rimando infinito di immagini vuote. Sessantuno è fuori dalle scene da un tempo che ora le pare infinito. Innaturale. Sessantuno pensa che avrebbe bisogno di molta pratica, che dovrebbe impegnarsi di più, che dovrebbe fare un po’ la brava bimba carina e lasciarsi andare. Certo che invece si annoia da morire a guardare queste vetrine virtuali, si annoia a restarsene in vetrina in attesa di un non ben precisato coupe de theatre.
Che diventi un bel film.
Che la salvi da tutte le storie del suo passato.

Il giorno rivela al giorno il Caso.
La notte mostra alla notte il capriccio.

Sapessi com’è strano
darsi appuntamento a Milano
tra la gente, tanta gente…mentre il tempo passa ed è come se invece fosse immobile, come fosse altro tempo, altro spazio, altra vita. E invece Sessantuno si trova qui, ora, tutta quanta.
Sapessi com’è strano darsi appuntamento a Milano, starsene seduti a chiedersi se starà indossando l’abito giusto per un momento che non è possibile anticipare né progettare perché non ha consistenza né forma, se non quella di una sceneggiatura letta in fretta in furia una sera qualunque su un divano scomodo e poi ripresa nella carrozza di un treno.
Com’è strano crogiolarsi in quel pensiero che pizzica e scava – che diavolo ci faccio qui – e poi s’allunga come i minuti che conta e signor Acido che arriva, e Sessantuno che è dietro di lui, ciao-ciao-piacere, piacere davvero, e quel lieve senso d’ebbrezza alcolica, che si mescola all’imbarazzo, alla sorpresa, alle endorfine e all’adrenalina, tutto insieme. Senza nomi né contorni né cornici.

Il signor Acido vive in un appartamento al terzo piano, luminoso e caldo. C’è un profumo dolce e intenso nella stanza, e una carta da pareti gialla con grandi tulipani rossi e cinque bellissimi disegni appesi. Dissonanza. Quei fiori Sessantuno li trova eccessivi, ostentati e poco armonici col resto della casa ma questo lo tiene per sé e si riempie il cervello di odori che rimandano a mille immagini musicali con cui inizia a danzare e amoreggiare. Pare di essere in un altro mondo, tutto nuovo, bello, poetico. Chissà se esiste, si chiede, chissà se esistiamo davvero noi, qui ora; ma esiste questo profumo – pensa – esistono questi occhi azzurri che inchiodano alla parete, esiste questo bacio da mangiare e masticare la notte, con cui nutrirsi per i prossimi mille anni, e le mani, mani dappertutto, senza tregua, prendere o lasciare, si va in affanno.
Così non vale. Sorride, il signor Acido, lui col suo accento milanèss e gli occhi che vagano e poi tornano sempre. Il signor Acido che porge il braccio a una signora con un fare d’altri tempi, talvolta, e quello sguardo di chi la sa lunga. A camminare per strada pare di volare, oggi.
– Che dici, prendiamo un caffè?
Semplice, naturale, inevitabile. Anche senza nomi, senza contorni e senza cornici. 

I complimenti sono assai scaltri e lusingano più il signor Acido che Sessantuno che li sta ricevendo. Gli si gonfia il petto a signor Acido, gli si gonfia così tanto e bene che i tatuaggi prendono nuove sembianze. Cambia lo scenario.

La voce fuori campo ricorda ai due che a camminare sulle nuvole poi basta un colpo di vento per ritrovarsi smaltati sull’asfalto di qualche via sconosciuta. Ma i due camminano in mezzo al traffico e alle isteriche rapsodie di clacson e non sentono nient’altro che il vento e il sole e tutta la poesia ricamata intorno.

Sessantuno ha un potere magico: può diventare invisibile. Lo sa da sempre di avere questo potere e spesso ci si diverte, ma in realtà dopo tutti questi anni non ha ancora capito come funziona, così scompare e riappare a random, puntualmente fuori luogo e fuori tempo. Acido ignora questa caratteristica e non si chiede mai dove come perché.
Non sapendo bene cosa preveda il galateo in queste singolari circostanze, Sessantuno va un po’ per tentativi. Ebbene, la vediamo saltellare spasmodicamente dal suo posto con le braccia alzate e benché alzare la voce in simili contesti sia poco conveniente…sussurra:
– Sono qui! sono qui! Dannazione: sono al solito nell’ultima fila, e devo faticare in modo spropositato per farmi notare.
Sessantuno, dicevamo, è fuori dalle scene da un tempo che ora le pare infinito e decisamente contro natura. Il signor Acido ha un cuore grande così, e ha trascurato a lungo la vita sociale. Sessantuno dall’ultima fila fatica in modo spropositato e si fa notare.
Quando parla davanti a lui, sente il sole che la investe in piena faccia, e strizza gli occhi che vorrebbe spalancare per entrare tutta quanta in quell’immagine bellissima che le appare. E’ bello essere qui, bello questo pomeriggio improvvisato e pieno di vita e sangue nelle vene e terre d’Hermes e frutti di bosco al naturale da mangiare con le mani.
E fu sera e fu mattina.
Acido: c’è e non c’è.
Sessantuno: confusa e felice.
Acido fa l’amore grosso con il sapore.
Sessantuno germoglia e fiorisce come una phalaenopsis in un clip fast Forward. Very fast.
Ogni giorno ormai dura una settimana, i minuti si fanno filamenti collosi che appiccicano ovunque e impiastricciano i capelli di Sessantuno. Che sono elettrici in questi giorni, impazziti pure loro ossì, prolungano all’infinito i pensieri ossessivi che non trovano più spazio nelle pareti del cervello e spalancano finestre immaginarie su cortili disegnati.

Oh, you know you know you know that yes I love you
I mean I’d love to get to know you

But Do you never wonder?
No?

Oh, kiss me.

Vai a qualche notte fa e i franz-ferdinand-tutta-la-vita di signor Acido.

– Acido, porta pazienza: io i Franz Ferdinand non li ascolto mai, mi perdoni?
– Maddai bambolina, non essere sciocca, vola da me, che qui si sta bene, qui è casa, vedrai, mi raccomando, fai la brava e vola da me, fai presto, mi raccomando, che non ho parole.
E fu sera e fu mattina.
La stella luminosa si fa accecante in un nanosecondo, e tutto diventa veloce, vorticoso, fuori controllo.

Nella stanza dei lucidi inganni, al terzo piano, tutto è vivo e reale: scrittoio e poltroncina sono perfettamente allineati, e la lampada accesa, la cornice portafoto con la foto bella dentro, bello il signor Acido, bello il cane amore-peloso, portaocchiali e occhiali da vista e agenda di pelle nera. Una vecchia edizione Garzanti della Fallaci, una bottiglietta di profumo per ambienti. Un po’ di polvere. Nella stanza dei lucidi inganni, su al terzo piano, tutto è vivo e sembra vero, ma niente è reale. Polvere polvere polvere. Comincia a sentirsela addosso. Dov’è iniziata questa sensazione, perché già indossa questa polvere? Sono passati pochi giorni e sembrano mille anni quassù, sul nido del cuculo. Si guardano e si parlano come se non fossero veramente qui, e Sessantuno sente che da qualche parte sta pregando per non esserci, come se qui in realtà ci fosse solo un pensiero, un’immagine fugace creata da alterazioni piretiche. E invece è qui – mioddio, sta succedendo di nuovo! – non ha ancora bevuto un caffè e pensa che qualcuno la dovrebbe svegliare e dirle che va tutto bene, che era solo un sogno, che ora tutto torna alla normalità. Invece di nuovo solo quell’odore intorno, e vede quei grandi fiori rossi e sente la polvere che scivola sulla pelle, e una voce sorridente che le pare di riconoscere vagamente e le parla di cose mostruose.

– Esistiamo davvero noi due?
Qualcuno vuol dirmi, di grazia, che diavolo ci faccio qui?
Cambia la voce, cambia l’accento, cambia registro, cambia acido, il signor Acido. O ha lanciato nuovamente i dadi in aria.
– Ora ci si organizza, bambolina, che devo fare pulizia, via tutto, tutto quanto. Via pure tu. Eddai sù! non mettere il muso. Sai che mi hanno rapito un figlio in Colombia?
– Ah, sì? racconta.
Il signor Acido questa mattina ha sei o sette figli. Sei O sette per sua stessa ammissione, che non fa molta differenza, sei o sette, chissenefrega, questione di fluidi corporei sparsi accidentalmente qua e là, che siamo animali, è la natura no? Lo vuoi pure tu un figlio?
E la carne da azzannare, i soldi da spendere, le (sessanta) vacche da monta dei giorni antecedenti i fatti di cui sopra, le lenzuola da lavare e l’agenda che inizia dal 21 di marzo. Prima che qualcun altro in questa stanza, ovvero Sessantuno (da cui si comprende il nome, ora), possa fiatare, il signor Acido ha già passato in rassegna le precedenti puntate di una vita troppo spinta in accelerazione, con i fari abbaglianti puntati addosso di ignari passanti e strisce pedonali su cui sfrecciare investendo spensierato donne e bambini.
Eccolo che si offre, candido come un bimbo da coccolare, vestito di tatuaggi bellissimi e parole che sembrano provenire dalla trascrizione di conversazioni di psicotici in preda a deliri schizofrenici. E ti guarda sorridente, pacifico. Ditemi che non siamo davvero qui, ora, e che è tutto un sogno avariato. Invece signor Acido prosegue con il suo racconto e prosegue con la sua personalissima fuga dall’umanità. Acido si fa bestia e si fa foglio di allucinanti scarabocchi da accartocciare e gettare di corsa al primo cestino trovato giù in strada. Che non rimanga traccia alcuna, mi raccomando, nel fondo della tasca. Acido e il suo magnesio. Acido e il suo Terre d’ Hermes che è quasi finito, e grazie a dio, no: niente regali stavolta.

– La vuoi un po’ di frutta prima di andare, che ti fa bene?

Sessantuno cerca la macchina da presa intorno agli angoli della stanza dei lucidi inganni ma non la trova. Il pensiero logico si arrende: scappa Sessantuno, scappaaaa! fuggi via lontano da questo nido-del-cuculo-parte-seconda (follia, ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?). Senza scomporsi pensa poi che Acido tra poco la ucciderà e nessuno la troverà più. Scomparirà davvero, senza dover ricorrere più quel suo potere magico da usare random. Invisibile per davvero, invisibile per sempre.
Il signor Acido sorride e la saluta baciandole teneramente la fronte.

Non c’è alcun seguito dietro l’angolo in cui entrambi scomparvero quel giorno. Né storia che diventi un bel film. Che la salvi da tutte le storie del suo passato.

In cuffia: Organizza la tua mente in nuove dimensioni…
          Libera il tuo corpo da ataviche oppressioni…

Sì, sì, certo.
Fanculo Battiato, e fanculo i Franz Ferdinand.