#didomenica

Non sono vere domeniche, le domeniche qui. Sono giorni qualunque con un bel vestito preso in prestito e un nome inventato, senza vocali. Tornano sempre, sempre un po’ tutte uguali qui, le domeniche.
La sveglia che suona e trova me già sveglia, con l’occhio aperto e stropicciato e dai! ancora qualche minuto qui, che fuori è un altro giorno fragile che non mi va poi tanto di affrontare. Fa accapponare la pelle e pure le viscere. Distorte, capovolte, riavvolte.
Mi piego e tento di ricacciarle al loro posto, uno-due-tre, prova. Butta fuori tutta l’aria. Ok, Ancora un attimo. Telefono, portatile, Spotify in quest’ordine. Ripetere. Infinite scroll.
– Caffè.
– Doppio?
– Meglio.

Gli occhi che bruciano, le lenti appiccicate, dimenticate un’altra volta ancora. E appiccico, appiccico di balsamo e pensieri pesanti che penetrano di notte e poi riaffiorano la mattina, eccessivi.
Caffè, telefono, divisa, la Y in garage.
Tutte uguali queste domeniche al neon e rumore di bambini a orologeria, paonazzi che strillano e a comando s’acquietano con il gingillo ri-compensa-genitori. I carrelli colmi di vuoti e sacchetti bio che non sosterranno mai e poi mai le aspettative.
Lo zen e la manutenzione della massa eletta.
Le budella ritorte e la lingua da morsicare. La mano che spennella il braccio: ripuliscilo da tutti quei pensieri – sciò, via! – disossalo e farciscilo di storielle cretine da offrire in pasto agli affannati.

La signora con i capelli cotonati che mi sorride e mi dice che non troverò mai un fidanzato, finché passo tutte le domeniche qua dentro. Sorrido, prendo nota. Che poi, mica mi interessa trovare un fidanzato. Basta che non mi perdo.

– Scusa, che giorno è, oggi?